venerdì 15 febbraio 2013

Quantità o qualità in una mostra d'arte?

Diciamolo francamente, di mostre temporanee o itineranti negli ultimi tempi se ne organizzano davvero molte, quasi a mostrare che la situazione della cultura artistica in Italia sia una sorta di Giano bifronte, con due facce: quella della decadenza (anche e, soprattutto, fisica) dei beni culturali, e quella, splendente e propositiva, di mostre ed esposizioni, finanziate in particolare dalle grandi istituzioni bancarie nazionali, che riescono a portare nelle nostre città grandi capolavori.



Ma, mi domando, i titoli posti a mostre ed esposizioni rendono giustizia e verità a ciò che realmente si va a vedere? O, talvolta, un buon titolo, come marketing pubblicitario insegna, è un buon amo con lenza? Intendiamoci, non dico che i titoli siano completamente menzogneri o traggano in inganno il potenziale pubblico, ma a mostra visitata, occorre interrogarsi se il fil rouge introdotto dal titolo sia stato rispettato ed il suo messaggio donato. 
La riflessione nasce dalla lettura di recensioni e critiche sulla mostra itinerante Da Botticelli a Matisse. Volti e figure trasferitasi, con qualche piccolo cambiamento, a inizio febbraio, da Vicenza a Verona (a Palazzo della Gran Guardia) e curata da Marco Goldin che pare non rispondere esattamente e coerentemente al titolo. 

Tintoretto, Cena in Emmaus (1559)
In sostanza la critica sollevata a Goldin è quella di essere riuscito sapientemente a raccogliere un cospicuo numero di capolavori, assolutamente eterogenei, e aver dato una logica superficiale all'esposizione, senza un'indagine "scientifica" che potesse offrire un senso più profondo e ricco. Le prime due sale della mostra offrono capolavori di soggetto sacro (tavole dell'Angelico, del Lippi, di Giovanni Bellini, Tiepolo, Antonello da Messina, Botticelli, Caravaggio, per fare qualche nome sonante) per indagare la raffigurazione del volto del Cristo terreno, nelle restanti tre vi è una ricca esposizione di opere che spaziano da van Gogh, a Modigliani, a Munch, passando per Renoir, Manet e Monet, il cui criterio espositivo pare perdersi durante la visita, dove sembra difficile dare un senso a quella commistione di sacro e profano, e dare un significato al senso generativo della mostra.

Renoir, Danza a Bougival (1883)
Mi domando: è completamente negativo visitare una mostra dove sembra labile il significato del percorso visivo e conoscitivo, oppure la stessa visione dell'opera d'arte, indipendentemente dal contesto tematico in cui ci viene presentata, ha di per sé grandi cose da raccontarci? 
E ancora, meglio una mostra ricca di opere ma in cui non viene rispettato l'intento espositivo, o una mostra composta da pochi pezzi, ma che insieme possono offrici un punto di vista completo e che risponde pienamente al "titolo della mostra"?
In sostanza quantità o qualità in una mostra d'arte? 

Credo si possa solamente dire, per ora, che, laddove vi sono significative opere in esposizione, il primario (e più piacevole) compito del visitatore è apprezzare e cogliere a pieno il messaggio e la bellezza che ogni singola opera riesce a donare. 
In un secondo momento, è possibile recepire, se presente, quel sottile fil rouge, che aggiunge valore ad un'esposizione, rispondendo al perché queste opere sono presentate insieme, potendo così ragionare per ampi spazi di veduta, nel brillante esercizio del confronto, è il caso di dirlo, face to face


Foto: 
una delle sale espositive della Gran Guardia a Verona, da larena.it;
due delle opere esposte nella mostra veronese Da Botticelli a Matisse. Volti e figure


Nessun commento:

Posta un commento