raccontate con fervida passione da Vittorio Sgarbi
Narrare la storia dell'arte sacra dal punto di vista dell'uomo che è stato incarnazione di Dio, raccontare la tenerezza di una mamma che tiene in braccio il proprio Bambino, appena nato, rappresentare la forza espressiva dei gesti di quel Dio che fu uomo, descrivere lo sguardo commosso di pietà di un Cristo sofferente sulla croce, posare uno sguardo impietosito su un'anziana madre che sorregge il corpo esanime del figlio trucidato, questo è il senso più profondo dell'ultima opera letteraria di Vittorio Sgarbi.
Nel nome del figlio è un prezioso volume, in cui più di 500 anni di storia dell'arte sacra (e non solo), vengono attraversati ponendo al centro, quale soggetto iconografico ed iconologico il Figlio, nella certezza che <le rivoluzioni le fanno i padri. Le fanno i figli> (Sgarbi).
Le opere sono presentate una ad una in una concatenazione che segue l'ordine cronologico e concettuale dell'analisi, dalla grande verità per cui l'Uomo che riuscì a sconfiggere la morte in nome di tutti gli uomini, ha dato il via alla più grande rivoluzione della storia umana.
Opere tra le più significative e coinvolgenti della nostra storia artistica, dal XIII secolo al Novecento, ma anche opere minori, spesso non accreditate con giusta attenzione e stima dalla critica.
Maestro di Sant'Agata, Tavola di Santa'Agata, Cremona. |
La lettura analitica offerta dall'autore coinvolge quasi sentimentalmente il lettore (rispettando la fervida capacità descrittiva "sgarbiana"), i continui confronti ragionati, i rimandi ad opere precedenti o posteriori a quella descritta, tengono alto il livello di attenzione della lettura, favorendo, anche, e soprattutto, nel lettore "non addetto ai lavori" una capacità di ragionamento artistico per comparazione e collegamenti.
Seppur sia difficile selezionare ciò che più mi ha coinvolto nella lettura, voglio di seguito citare alcune delle sezioni e delle letture critiche del volume.
Coinvolgente è la descrizione della Tavola di Sant'Agata, scoperta da Roberto Longhi, che Sgarbi pone nel volume come opera di partenza della pittura moderna, con il suo volgare lombardo. Forte ed incisiva è la descrizione delle scene, caratterizzate da un'attenta ricerca della verità (di racconto, come di rappresentazione), inaspettato il rimando al Futurismo di Giacomo Balla.
Piero della Francesca, Resurrezione, Pinacoteca Comunale, San Sepolcro. |
Piacevole è la lettura della Resurrezione e del ciclo di affreschi di Arezzo di Piero della Francesca che precede, non casualmente, il Cristo morto del Mantegna, che porta ad estreme e più elaborate conseguenze proprio le ricerche sulla plasticità del corpo di Cristo, compiute da Piero della Francesca, che lo stesso Michelangelo studierà con attenzione per la genesi del Cristo del suo Giudizio Universale.
Andrea Mantegna, Cristo morto, Pinacoteca di Brera, Milano. |
Leonardo da Vinci si pone come artista d'overture della sezione "Questo è il mio corpo", con l'ideale percorso che, partendo dall'incompiuta Adorazione dei Magi, passando per il Battesimo di Cristo (in collaborazione col Verrocchio) e la Vergine delle rocce, conduce all'Ultima cena, per affermare di volta in volta la rivoluzione compiuta a partire dallo stesso Giotto, nello spirito degli artisti, per cui l'artista è un genio e non più un semplice artigiano.
Leonardo, riflette sugli episodi sacri cercando risposte razionali, che trovano la massima espressione nella scelta iconografica dell'Ultima cena, dove si voluto fermare nel tempo il momento immediatamente successivo all'annuncio fatto da Gesù ai suoi discepoli <qualcuno tra voi mi tradirà>, fotografando in pittura la carica emotiva e di gestualità degli apostoli sconvolti.
Leonardo da Vinci, Ultima cena, (ex) refettorio di Santa Maria delle Grazie, Milano. |
Vittorio Sgarbi, Nel nome del figlio. Natività, Fughe, Passioni nell'arte, Bompiani Editore.
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